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Le ultime opere strumentali di Anton Webern sono sempre state ammirate come esempi di un'applicazione sistematica e innovativa della tecnica dodecafonica. Dalla nostra prospettiva odierna, tuttavia, il ricorso a modelli più antichi di forma e struttura del movimento, sebbene ovviamente mai inteso da Webern come una forma di restauro, sembra altrettanto importante. Quanto questi aspetti siano strettamente correlati si può vedere dall'esempio delle Variazioni per pianoforte op. 27, scritti nel 1935/36. Da un lato Webern in quest'opera ha in un certo senso portato la tecnica compositiva di Schönberg con dodici toni collegati solo tra loro alla sua logica conclusione, in quanto ha derivato direttamente tutti i temi musicali, senza il passaggio intermedio di tematiche chiaramente delineate. figure e loro trattazioni - dalla sequenza astratta di intervalli di una riga tonale di base; a ragione si è detto che il processo di variazione stesso è stato fatto oggetto della composizione. D'altro canto Webern nella sua concezione dell'opera si basa chiaramente sulla forma storica della variazione. Infatti, dagli schizzi e da alcune osservazioni contenute nelle sue lettere risulta chiaro che Webern non solo intendeva il terzo movimento (composto per primo) come una serie di variazioni, ma intendeva estendere questo concetto di forma anche al primo e al secondo movimento composti Dopo. (Tratto dal CD-Booklet della ECM Nuova Serie 1997)
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